PSICOANALI E NAZISMO/UN GRANDE SOTTO ACCUSA

Heil, kamerad Jung

 

 
 

di Stefania Rossini  

«L'inconscio ariano dispone di un potenziale più elevato di quello ebraico, il che costituisce al tempo stesso il vantaggio e lo svantaggio di una giovane età che non si è ancora completamente staccata dall'elemento barbarico».

Quando Carl Gustav Jung scriveva queste parole, nei primi mesi del 1934, Hitler era al potere da più di un anno, le leggi razziali erano già state emanate e  i libri di Freud già bruciati nelle piazze delle principali tedesche con l'accusa di dar troppo valore alla vita sessuale e di minare la nobiltà dell'animo umano. Eppure Jung firmava il suo primo editoriale da direttore del nazificato "Zentrallblatt für Psychoterapy" nello stesso numero in cui Heinrich Goering, cugino del braccio destro di Hitler e nuovo capo degli psichiatri tedeschi, raccomandava il "Mein Kampf" come libro base per tutti gli psicoterapeuti.

Il sinistro periodo dela vita e dell'attività di Jung, sul quale gli studiodi junghiani avevano sempre cercato di glissare trattando i fatti come lapsus o atti mancati del loro maestro o, al contrario, come il suo estremo tentativo di salvare il salvabile della psicoterapia tedesca, torna d'attualità con l'arrivo in libreria di una nuova "Vita di Jung", scritta dall'inglese Vincent Brome ed edita da Bollati Boringhieri. Ma già negli ultimi anni tempi, a dire il vero, la stessa comunità junghiana aveva cominciato a rivisitare con disincanto quegli anni con interventi e saggi, tar i quali spicca quello della studiosa francese Martine Gallard pubblicato in "Psicoanalisi e metodo", una nuova rivista edita da Giuseppe Maffei ed edita da Borla.

Nel 1934 Jung ha dunque 59 anni, una vita ricca di soddisfazioni scientifiche e di riconoscimenti internazionali, uno stuolo di discepoli devoti, una famiglia unita e un'amante fissa che è quasi una seconda moglie. Ma ha anche una ferita mai rimarginata, quella del traumatico distacco da Freud - avvenuto più di vent'anni prima - dopo una lunga stagione di collaborazione intensa. E sono molti a credere che proprio a questa ferita si possono far risalire le inquietanti scelte politiche e umane di quello che Thomas Mann chiamò «un rampollo intelligente e ingrato».

Quando infatti, nel maggio del 1933, il presidente della "Società generale di medicina psicoterapeutica", un onesto medico che aveva capito dove portava il nuovo vento politico e che aveva già dovuto subire l'arrivo del cugino di Goering come Reichführer degli psicoterapeuti, si dimise, Jung fu pronto a prenderne il posto. Non trovò scusanti, né accampò giustificazioni: da tre anni era vicepresidente della stessa associazione e l'avvicendamento appariva naturale. L'associazione dei freudiani intanto, per le evidenti radici e le molte componenti ebraiche, cominciava ad essere perseguitata, finché nel 1936, completamente arianizzata, diventò una costola del gruppo di Jung.

Che la compromissione col nazismo di Jung fosse di natura diversa, più distratta, più strumentale e meno solidale di quella di Heidegger, Schmitt o Jünger, è tesi che piace ai discepoli ma che trova scarso riscontro nei documenti e negli scritti emersi negli anni.  

 

(continua)


L'importanza di essere ariani
di Carl Gustav Jung

L'inconscio ariano dispone di un potenziale più elevato di quello ebraico, il che costituisce al tempo stesso il vantaggio e lo svantaggio di una giovane età che non si è ancora completamente staccata dall'elemento barbarico. A mio avviso la psicologia medica ha compiuto finora il grave errore di applicare , in modo indiscriminato, agli individui di razza germanica o agli slavi di matrice cristiana categorie ebraiche, che del resto non sono neppure vincolanti per tutti gli ebrei.





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