IL LAVORO PER IL DISABILE NON SERVE SOLO PER VIVERE

MA ANCHE PER CRESCERE PER SE E PER LA SOCIETA'

Il programma dell'intervento che voglio presentare nelle sue linee portanti e nei risultati, alcuni provvisori, altri ampiamente consolidati (il programma  è al terzo anno di attuazione) si poggia su tre importanti principi teorico-pratici, oggi da tutti in teoria riconosciuti validi, ma in pratica non sempre rispettati.
Il primo ci dice che in ogni programma riabilitativo il diversamente abile deve essere al centro di tutto l’intervento: facile a dirsi, ma non sempre facile ad attuarsi perché  molte volte sono la struttura o la miope dittatura economica a porsi al centro di tutto con buona pace del disabile.
Il secondo riguarda la personalità del diversamente abile: esso deve essere recuperato tenendo conto dei suoi limiti ma anche di tutte quelle capacita’ positive che ogni disabile, contrariamente a quanto comunemente si crede, possiede e anche in abbondanza.
Il terzo, infine, consiste nell’attuare sia in fase diagnostica sia operativa un intervento di tipo multidisciplinare e multidirezionale: è un vanto della neuropsichiatria infantile aver introdotto questo metodo di lavoro nella clinica e nella riabilitazione.
Da tutto ciò, la caratteristica del nostro programma, detto in estrema sintesi, consiste:
>nella individuazione delle disponibilità e delle possibilità reali soggettive;
>nel fare evolvere queste possibilità dal livello manuale al livello di prospettive professionali;
>nel dare le nuove nozioni sempre attraverso il concreto.
In pratica tutto ciò porta a strutturare, per ogni diversamente abile, un piano di intervento strettamente individualizzato perché tiene conto delle sue specifiche caratteristiche, qualità e limiti: in questo consiste, a mio avviso, l’attuazione dell’uguaglianza di opportunità tanto falsamente e strumentalmente strombazzata che ha portato a “mostri” di inserimento, come, ad esempio, alcuni inserimenti scolastici, del tutto inadeguati per una certa tipologia di soggetti disabili, perché c’è una legge generale di neuropsicopedagogia, nonché il buonsenso, a dirci che:
>a possibilità di apprendimento diverse deve corrispondere una diversificazione della metodologia dell’intervento.
Una delle diversificazioni è, per l’appunto, l’addestramento e la formazione professionale e l’inserimento lavorativo che rappresentano obiettivi vincenti per la maggior parte dei soggetti disabili, a differenza di quanto possa avvenire con la frequenza scolastica, perché, proprio rispettando la loro personalità, utilizzano ed esaltano una delle loro più costanti caratteristiche: essere fermi alla fase del pensiero concreto e non avere il c.d. pensiero astratto, indispensabile per una fattiva frequenza scolastica.
Per questi soggetti, e quindi anche per i non vedenti o ipovedenti pluriminorati, opportunamente addestrati e formati, in un ambiente non emarginante, anzi altamente stimolante, l’inserimento lavorativo, (non più soltanto come centralinisti o massaggiatori), diventerà una occasione di crescita individuale e quindi porterà ad una crescita di tutta la società; in questi casi, il lavoro diventerà non solo un mezzo per vivere, ma anche per crescere ed inoltre, (perché non dirlo in un momento come questo) il tutto ci permetterà di risparmiare una montagna di soldi per una assistenza non solo passiva, ma umiliante per chi la riceve e per la propria famiglia!
Dal 63 all’80 a Napoli abbiamo già avuto un intervento di questo tipo, a cura dell’allora Amministrazione Provinciale, (laboratori protetti) e io ne fui l’ideatore e il responsabile: ancora, oggi, diversi ragazzi, che provenivano da alcuni particolari istituti o dall'O.P.P., lavorano regolarmente. Nel ’80, avendo la sfortuna di essere capitati nel territorio di una certa Usl, fummo distrutti e l’esperienza andò in fumo.
Dobbiamo quindi ringraziare la sensibilità e l’intelligenza della dirigenza dell’ Istituto Martuscelli e la Regione Campania che da tre anni hanno reso possibile riprendere questa esperienza, anche se con utenti di tutt'altro tipo,
che ci auguriamo vivamente non venga interrotta a febbraio p.v., ma vada regolarmente avanti.
Il nostro progetto - che è bene dirlo, è unico in Italia - è caratterizzato, come quello prima accennato, dall’utilizzo di una particolare branca della riabilitazione: la terapia occupazionale  (T.O.) che si svolge, a cura di operatori specializzati, terapisti ed educatori, in laboratori, attualmente, di ceramica, vimini, accordatura di pianoforti, affiancati da alfabetizzazione informatica, orientamento e mobilità, apprendimento di altre autonomie, insegnamento del braille, consultazione psicologica.
Inoltre è attiva una costante consulenza alle famiglie con l’intervento dell’assistente sociale, dei neuropsichiatri dell'età evolutiva, della psicologa. Tale intervento è essenziale perché se la famiglia non collabora con noi, non si arriva da nessuna parte!
Ora vorrei soffermarmi un attimo, onde meglio chiarire la sostanza del progetto, sulla già accennata terapia occupazionale perché, a mio avviso, è ancora poco conosciuta, o peggio, male intesa e quindi inutilmente attuata, malgrado l’esistenza di una legge nazionale che stabilisce il profilo professionale del terapista occupazionale  (t.o.) e che ha dato l’avvio, in molte Università, ai Corsi di laurea breve.
Infatti, dove la T.O. viene attuata, molto spesso viene intesa come ogni sorta di occupazione che serve unicamente a far trascorrere il tempo, giorno dopo giorno, ad un soggetto disabile.
Un tale impiego di quello che è un metodo riabilitativo di vasta portata e significato è evidentemente estremamente limitativo e del tutto errato; malgrado  ciò è quello che oggi, a cura delle ASL e dei Comuni, si sta programmando per le RSA o per i Centri socio-educativi dove si parla di T.O., ma senza i t.o.!!!
Ma non è solo questo: spesso, dimostrando molta superficialità, si confonde ancora la T.O. con l’ergoterapia dalla quale si diversifica sia dal punto di vista storico sia dal punto di vista semantico.
La terapia occupazionale, correttamente intesa, è "una branca della riabilitazione che adoperando come mezzo privilegiato il fare e le molteplici attività della vita quotidiana, coinvolge la globalità del soggetto con lo scopo di aiutarne l’adattamento fisico, psicologico e sociale onde migliorarne globalmente la qualità della vita pur nella
disabilità
Essa presuppone un rigoroso lavoro sia in fase diagnostica, poiché la patologia funzionale che i nostri ragazzi presentano non è aspecifica, sia in fase operativa, perché la "occupazione terapeutica" è ben diversa a seconda del disabile.
In ambedue le fasi si richiede al t.o. il rispetto pieno e costante della globalità della persona disabile, globalità che certamente non viene scalfita dalla malattia.
La T.O. puo’ essere utilizzata come terapia singola o associata con altre terapie riabilitative, ad esempio FKT;
come momento finale del piano di trattamento;
come momento propedeutico ad altri interventi come la formazione professionale, l’inserimento lavorativo, familiare e sociale.
Ed è a questo fine che noi la utilizziamo nel nostro progetto, dando particolare attenzione a due fra i vari momenti fondamentali della T.O.:
>il fare-agire
>le autonomie
Il primo serve a sviluppare la gestualità e a far si che la motricità divenga sempre più coordinata, intelligente e, successivamente, finalizzata all’apprendimento di gesti e movimenti professionali;
il secondo, le autonomie personali e sociali, è finalizzato a che un individuo acquisisca o riacquisti un proprio ruolo sociale nella famiglia e nella società.
Dalla convergenza di più momenti è possibile, almeno per un buon gruppo, giungere a una vita, pur nella disabilità, più dignitosa e più utile alla società tutta.
Naturalmente
nell'attuare la T.O. nel non vedente vengono fuori alcune difficoltà legate a questa particolare disabilità, perché essa investe globalmente, ancor più di altre, la personalità sia nel versante motorio sia in quello cognitivo e psichico ed in alcuni soggetti, per la concomitante presenza di un danno cerebrale, si possono associare altre disabilità.
Pertanto, pur tenendo presente che una disabilità visiva – come del resto ogni altra disabilità - non è mai "un meno", bisogna pur dire che il “non vedere” può creare alcuni problemi particolari perché la cecità per la sua specificità può concorrere a strutturare notevoli carenze che potenziano la difficoltà delle "entrate".
Ora, come può un soggetto non vedente sopperire alla mancanza della vista nell'attuazione del nostro progetto?
Attraverso il tatto e la manipolazione (movimento iniziale di ogni programma di T.O.) il s. non vedente deve imparare "il fare con le mani" (altro pilastro, come ho accennato, della T.O.) che produrrà, con opportune tecniche, come quelle del “rinforzo”, degli “oggetti”. In questo "fare" bisogna, con i non vedenti, attivare rinforzi, in particolare, quelli verbali, tattili e sonori e per gli ipovedenti anche quelli visivi attraverso specifici ausili.
Vorrei concludere, ribadendo ciò che ho accennato all’inizio: tutto questo complesso intervento riabilitativo che caratterizza il nostro programma e che è teso, dove è possibile, ad un orientamento e formazione professionale e inserimento lavorativo, ma in realtà già esaustivo di per sé, è possibile solo se si lavora con il metodo del lavoro di una equipe multidisciplinare che, avendo il soggetto diversamente abile al centro, comporta una continua osmosi fra i vari specialisti e terapisti che la compongono – occhi diversi che osservano lo stesso soggetto -, con un reale vantaggio, in termini culturali e pratici, nel comprendere e poi nel risolvere le problematiche che la persona presenta, cioè nel formulare la diagnosi, il piano globale di trattamento e le verifiche.

Risultati
Su un totale di venti soggetti partecipanti al progetto si è potuto osservare una mobilitazione degli affetti e delle capacità insieme con una diminuzione delle rigidità strutturali con riferimento alle varie aree di adattamento. In particolare abbiamo assisitito ad :
- un aumento delle capacità di tolleranza delle frustrazioni(75%)
-un’apertura relazionale riscontrabile in una maggiore attenzione alla vita del gruppo (80%)
-un incremento delle capacità comunicative ed espressive(60%)
-un diminuzione degli atteggiamenti di dipendenza (63%)
-un incremento delle autonomie e della cura e dell’igiene personali(54%)
-un’elaborazione di conflitti interpersonali e intergenerazionali(38%)
-un’emergere della autoriflessività (29%)
In ogni soggetto abbiamo potuto, ovviamente, verificare il raggiungimento di uno o più obiettivi suindicati
Un miglioramento complessivo delle performance ha interessato dei singoli laboratori.
In particolare :
-in quello di ceramica sono andate affinandosi le abilità di manipolazione e uso dei materiali, in particolare la creta.
-in quello di vimini sono andate migliorando progressivamente le abilità di intreccio e di lavorazione di oggetti di uso quotidiano
-discreti i risultati anche nei laboratori di informatica e accordatura di pianoforti, dove, come è facile immaginare, l’inserimento ha interessato solo il 25% del gruppo in possesso dei prerequisiti necessari per condurre le attività come ad esempio l’ assemblaggio e lo smontaggio dello strumento da accordare, l’esplorazione dello spazio circoscritto con ricerca delle varie corrispondenze tra i singoli pezzi, discriminazione dei suoni etc (per realizzare le quali vanno esclusi quei casi caratterizzati da gravi, oggettive limitazioni sul piano motorio e/o intellettivo) .
Buoni anche i risultati nel laboratorio di apprendimento della lettoscrittura con apparecchio dattilobraille per il 15% dei partecipanti. Va precisato che in questo Centro di interesse si sta inoltre cercando, per alcuni soggetti più dotati dal punto di vista intellettivo e più fortemente motivati, di riprendere gli studi per il conseguimento del diploma di scuola media superiore.
Ottimo l’andamento del laboratorio di orientamento e mobilità in cui si osservano cambiamenti rapidi e inaspettati in un buon 60% dei soggetti con conseguenze significative sul piano delle autonomie: possibilità di effettuare brevi spostamenti nelle aree limitrofe all’istituto, acquisti mirati nei negozi adiacenti, capacità di gestione di piccole somme di danaro, con utilizzo appropriato degli apparecchi di distribuzione di merci che prevedono anche restituzione di danaro.
Nel laboratorio di consultazione psicologica infine, i ragazzi hanno potuto sperimentare la loro capacità di elaborare pensieri ed emozioni, talvolta vissute con intensa partecipazione, relative a situazioni vissute nel gruppo o a casa. In più di una circostanza i colloqui, cicli di quattro incontri su richiesta dell’interessato di un’ora ciascuno, con follow-up a distanza, hanno rappresentato un’occasione di crescita che ha contribuito ad arricchire la vita di gruppo e a stimolare la consapevolezza di sé da parte di ciascuno.
In conclusione, vorrei sottolineare che attraverso il lavoro svolto in T.O si è assistito per il 75% al verificarsi di un innesto di funzioni mentali che integrando processi cognitivi e affettivi hanno finito con l’attivare capacità di organizzare ed eseguire compiti semplici e per alcuni anche più complessi.
Il successo dell’esperienza ci ha stimolato a ipotizzare che certi quadri clinici iniziali fossero più vicini alla inibizione intellettiva che non al ritardo mentale vero e proprio, ma questo apre un lungo discorso sulla carenza degli strumenti di rilevazione per non vedenti, problema di non poco rilievo che abbiamo posto e dibattuto in altre sedi scientifiche, interessate alla ricerca con i non vedenti.

 





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